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Il principio dell’idea/expression dichotomy nel diritto britannico e statunitense #diritto #dcopyright #rLPG

Il diritto d’autore non protegge le idee in quanto tali ma l’espressione delle idee. Questo è un principio chiaramente delineato nel diritto italiano dove l’opera, per ottenere tutela, deve rappresentare la traduzione compiuta ed in forma espressiva dell’idea.
Nel caso Hollinrake v Truswell [1894] 3 Ch 420 viene precisato che il copyright non tutela le idee, i sistemi, gli schemi ed i metodi, esso è confinato nell’espressione delle idee, e vi è violazione del copyright solo se ad essere copiata è appunto l’espressione.
In Donoghue v. Allied Newspapers Limited (1938) Ch 106, il concetto viene meglio sviluppato quando la Corte stabilisce che il copyright spetta a chi ha dato forma all’idea attraverso le immagini, un filmato oppure un libro.
Secondo l’elaborazione delle Corti Britanniche, il copyright va oltre la tutela nei confronti della mera copia letterale. Un’opera può essere considerata copia e quindi non degna di tutela, anche se non risulta letteralmente identica ad un’altra (è il caso di Designers Guild v. Russel Williams ad esempio). Per superare l’ostacolo interpretativo che si presenta, viene utilizzato il cosiddetto «skill and labour test». L’opera troverà tutela qualora l’autore vi abbia aggiunto, nell’espressione dell’idea in una forma concreta, un quid pluris che è rappresentato dallo «skill and labour». Essa invece sarà considerata un plagio se risulterà copiata in una «substantial part» a seguito di un giudizio qualitativo e non quantitativo. Lo «skill and labour test» è stato utilizzato anche nei leading case Ladbroke (Football) Limited v. William Hill (Football) Limited [1964] 1 WLR 273 ed Elanco Products Ltd. v Mandops[1980] RPC 213.
Quanto più l’idea sarà espressa in una forma semplice, tanto più debole sarà il copyright su essa e pertanto il potenziale autore del plagio potrà legittimamente crearvi un lavoro maggiormente simile.
Infine, le opere in cui vengono riferiti e narrati fatti, ad esempio sotto forma di rassegna storica o di notizie, possono ricevere protezione se organizzati e strutturati in maniera originale ma possono dover fronteggiare una minaccia quando tali fatti sono rielaborati all’interno di una narrazione, come quella ad esempio di un romanzo. Nel caso cd Da Vinci Code [Baigent and Leigh v Random House[2006] EWHC 719 (Ch)], riguardante il non-fiction book Holy Blood: Holy Grail ed il fiction book The Da Vinci Code, tale principio trova esplicitazione. La casa editrice di Holy Blood: Holy Grail contestava alla Random House che Dan Brown avesse copiato l’opera da essa pubblicata utilizzando le informazioni ivi raccolte senza fare le proprie ricerche. Nel decisione del caso, vinto dall’editore del Codice da Vinci, si afferma che l’opera Holy Blood: Holy Grail è una mera generica narrazione di un certo numero di fatti ed idee e che in quanto tale non può trovare tutela.
Negli Stati Uniti il criterio utilizzato è quello dell’originalità. Nel caso Feist Publications, Inc. v. Rural Tel. Serv. Co.499 US 340 (1991), si afferma che l’originalità rappresenta la conditio sine qua non del copyright. Pertanto, l’opera per ricevere tutela non deve essere solo frutto di lavoro ed investimento da parte dell’autore ma deve anche contenere degli elementi di originalità.
Nel caso Feist, una casa editrice viene citata per violazione del copyright da una compagnia telefonica per aver copiato il proprio elenco degli utenti. La Suprema Corte degli Stati Uniti ha affermato che la mera raccolta di nomi, cognomi ed indirizzi degli utenti telefonici non fosse tutelabile con il copyright; inoltre tali informazioni non erano organizzate in modo originale. Pertanto, malgrado il comprensibile investimento di tempo e di lavoro per la compilazione dell’elenco, esso non era tutelabile dal copyright per carenza di un minimo livello di originalità. Come facilmente comprensibile, questa decisione ha provocato accese polemiche soprattutto da parte degli autori dei database. Prima del caso Feist veniva utilizzato il principio dello «sweat of the brow», letteralmente «sudore della fronte», secondo il quale il copyright sussisteva anche con un minimo apporto creativo, a condizione che l’opera avesse richiesto un congruo investimento di tempo, conoscenze e lavoro per la sua realizzazione.
Di particolare interesse sono i precedenti sulla tutela del software che esamineremo in un prossimo podcast.
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