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Brevi note sull’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni

L’obbligo di mantenimento dei figli è solennemente sancito dall’art. 30 comma 1 della Costituzione, ove viene proclamato il ‘dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio’. L’art. 147 c.c., in assoluta coerenza con il dettato costituzionale dispone che ‘il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli’ .
Con particolare riguardo alla posizione dei figli maggiorenni, l’art. 6 della l. 898/70 – in tema di assegnazione della casa familiare a seguito di scioglimento degli effetti civili del matrimonio – stabilisce un criterio di preferenza in favore del genitore con il quale i figli convivano anche oltre il raggiungimento della maggiore età. La giurisprudenza e la dottrina sono praticamente univoche nel ritenere la sussistenza dell’obbligo al mantenimento della prole anche oltre il raggiungimento della maggiore età. Tale orientamento è assolutamente coerente alla tendenza attuale che vede, dati statistici alla mano, una crescita costante del numero di giovani che in ‘età da matrimonio’ vivono ancora con la propria famiglia di origine ed a carico dei genitori.

Le ragioni di questa consolidata tendenza – purtroppo di matrice quasi esclusivamente italiana – sono facilmente intuibili, e trovano assoluto riscontro nelle oggettive difficoltà del mercato del lavoro ove è estremamente difficile trovare una posizione lavorativa gratificante, coerente con le proprie aspirazioni ed il proprio percorso formativo e soprattutto stabile, in un periodo storico ove regna la precarietà del lavoro; per non dire dei costi per la casa di abitazione che risultano quasi sempre insostenibili senza l’aiuto economico della famiglia ed in primo luogo dei genitori.
La giurisprudenza assimila la posizione del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente a quella del figlio minore ed ammette pertanto il protrarsi dell’obbligo di mantenimento di educazione ed istruzione fino al momento in cui il figlio stesso abbia raggiunto una propria indipendenza economica, con una appropriata collocazione nel contesto sociale: ‘tale obbligo si configura invero quale effetto immediato ed ineludibile del rapporto di filiazione, che prescinde dalla titolarità della potestà genitoriale ed ha radici nella affermazione di responsabilità per il solo fatto della procreazione, secondo il disposto dell’art. 30, comma 1 della Costituzione’ (Cass., 28/06/1994, n. 6215).
L’obbligo al mantenimento cessa quando il figlio raggiunge l’indipendenza economica, ‘ovvero versi in colpa per non essersi messo in condizione di conseguire un titolo di studio o di procurarsi un reddito mediante l’esercizio di un’idonea attività lavorativa’ (Cass., 28/06/1994, n. 6215; Cass. 2/09/1996, n. 7990; Cass. 18/04/1994, n. 5539; Cass. 11/12/1992 n. 13126; Cass. 3/07/1991 n. 7295; Cass. 27/02/1990 n. 1506; Cass. 29/12/1990 n. 12212; Cass. 19/03/1984 n. 1862). La lettera dell’art. 147 c.c. prevede espressamente che nell’assolvimento dell’obbligo al mantenimento non possa prescindersi ‘ dalle capacità, dalle inclinazioni e dalle aspirazioni dei figli’.
In altre parole per esonerare il genitore dal mantenimento non è sufficiente una qualsiasi possibilità di lavoro, anche in presenza del rifiuto del figlio, ma occorre un’occasione idonea rispetto alle concrete e ragionevoli aspettative del figlio e che pertanto il suo rifiuto sia privo di un’accettabile giustificazione. L’accertamento sull’eventuale sussistenza di un comportamento colposo od inerte del figlio non può ‘che ispirarsi a criteri di relatività, in quanto necessariamente ancorato alle aspirazioni, alla capacità, al percorso scolastico, universitario del soggetto ed alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale egli abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione, investendo impegno personale ed economie familiari’ (Cass. Sez. I Civ. 3/04/2002 n.4765).
Sulla base dei parametri di riferimento chiaramente indicati dalla Suprema Corte deve ‘escludersi in via generale che siano ravvisabili profili di colpa nella condotta del figlio che rifiuti una sistemazione lavorativa non adeguata rispetto a quella cui la sua specifica preparazione, le sue attitudini ed i suoi effettivi interessi siano rivolti’ (Cass. Sez. I Civ. 3/04/2002 n.4765).
Sulla base degli stessi principi posti a fondamento delle più recenti ed avvedute pronunce della Cassazione (art. 30 comma 1 della Costituzione, art. 147 e 148 c.c.), è parimenti da escludersi la perdita del diritto al mantenimento qualora il figlio maggiorenne abbia rinunciato alla prosecuzione di un rapporto di lavoro per lui non gratificante e non adeguato rispetto alle sue specifiche attitudini ed al suo percorso formativo, anche per non compromettere il proficuo completamento degli studi universitari nel settore nel quale egli abbia indirizzato tutti i suoi sforzi, interessi ed aspirazioni. E’ pertanto da equiparare al rifiuto del lavoro non adeguato la rinuncia ad un rapporto di lavoro dipendente non rispondente alle specifiche aspirazioni del figlio maggiorenne e che risulti peraltro penalizzante per la conclusione degli studi universiari.Non può infine attribuirsi nessuna responsabilità al figlio per non aver lavorato, quando ciò dipenda dalla attuale situazione del mercato del lavoro, caratterizzato da una diffusa disoccupazione e precarietà.Non si può stabilire un limite temporale preciso all’obbligo di mantenimento; dice infatti la giurisprudenza di merito che ‘l’autonomia economica potrebbe anche non realizzarsi dopo il conseguimento di una laurea o di un diploma, ad esempio qualora il figlio attenda di partecipare a concorsi od esami’ ovvero stia facendo il prescritto tirocinio per il conseguimento dell’abilitazione professionale. Stabilire l’avvenuto raggiungimento dell’autonomia ed indipendenza economica del figlio maggiorenne ‘dipende da situazioni giuridiche soggettive che non possono e non debbono essere semplicemente presunte ab extrinseco, in relazione al raggiungimento di una certa età. Così e anzitutto moralmente ed in secondo luogo legalmente giustificata l’esigenza che i genitori, entrambi i genitori, siano essi o meno in comunione di vita, concorrano al sostegno anche materiale dei figli nel delicato momento del loro inserimento nella società, momento che può verificarsi in prossimità del raggiungimento della maggiore età, come anche in epoca successiva’ (App. Roma 29/05/1995 ; in senso conforme Cass. 11/12/1992 n. 13126; Cass. 3/07/1991 n. 7295; Cass. 26/01/1990 n. 475; Cass. 10/04/1987 n. 3570).L’onere di provare la sopravvenuta autosufficienza economica del figlio maggiorenne spetta al coniuge obbligato a corrispondere l’assegno di mantenimento che ne chieda la revoca: ‘il raggiungimento dell’indipendenza economica si configura come fatto estintivo di un obbligazione ex lege, sicchè spetta al genitore, che deduce la cessazione del diritto del figlio al mantenimento, dimostrare che costui è divenuto autonomo ed autosufficiente e non già all’altro genitore (o al figlio) dimostrare il persistere dello stato di insufficienza economica’ (Cass. n. 2289/2001; Cass. n. 9109/1999; Cass. n. 2670/1998; Cass. n. 8383/1996; Cass. 2/09/1996 n. 7990). Opera pertanto una presunzione iuris tantum per la quale al conseguimento della capacità di agire, non corrisponde l’indipendenza economica della prole ( Cass. 21/12/1995 n.13039; Cass. 18/04/1994 n. 5539; Cass. 17/09/1993 n. 9578; Cass. 29/12/1990 n. 12212; Cass. 28/06/1988 n. 4373). Infine, secondo autorevole orientamento della dottrina, suffragato dalla giurisprudenza, la cessazione della convivenza non determina l’automatico venir meno dell’obbligo di mantenimento poichè la circostanza che il figlio viva in altri nuclei familiari non presuppone né che lo stesso sia in colpa né che la situazione di dipendenza economica e morale sia cessata; anche il matrimonio del maggiorenne, e dunque la creazione di un autonomo nucleo familiare (con eventuali figli), non costituisce ragione ex se dell’estinzione dell’obbligo di mantenimento (A. e M. Finocchiaro, Diritto di Famiglia I, Giuffrè, 393).

Avv. Mario Sabatino – Pubblicato su LPG – La Pagina Giuridica nel luglio 2003

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